Euro e sterlina ai massimi da quattro anni sul dollaro: l’incertezza politica negli Stati Uniti indebolisce la valuta americana

Impennata dell’euro e della sterlina sul dollaro

Il dollaro statunitense continua a mostrare segni di instabilità, una tendenza che ha caratterizzato il mercato valutario fin dai primi mesi dell’anno, periodo coincidente con il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca. In questo contesto di forte volatilità, l’euro e la sterlina britannica hanno raggiunto livelli che non si vedevano da quasi quattro anni.

Nella giornata di giovedì, l’euro ha superato quota 1,17 dollari, un valore che non si registrava dal settembre del 2021. Parallelamente, la sterlina ha toccato 1,372 dollari, il suo livello più alto dall’inizio del 2022.

Possibile cambio alla guida della Federal Reserve

Secondo diversi analisti, questo rafforzamento delle valute europee sarebbe legato ai crescenti timori dei mercati riguardo a un possibile avvicendamento alla guida della Federal Reserve. La tensione tra Jerome Powell, attuale presidente della banca centrale americana, e il presidente Trump si è intensificata negli ultimi mesi, alimentando voci su una sua possibile rimozione dall’incarico.

Il Wall Street Journal ha riportato che il presidente Trump starebbe valutando seriamente l’ipotesi di sostituire Powell, accusandolo di non sostenere abbastanza la politica economica della sua amministrazione, soprattutto in merito al mancato taglio dei tassi di interesse. Tra i possibili successori circolano i nomi di Kevin Warsh, già governatore della Fed, Kevin Hassett, direttore del Consiglio Economico Nazionale, e Scott Bessent, attuale segretario del Tesoro.

Le proiezioni di ING: euro verso 1,20 dollari?

In una nota inviata ai clienti giovedì, gli analisti di ING hanno indicato che il rafforzamento dell’euro potrebbe proseguire, con una possibile salita fino a 1,20 dollari, a patto che si verifichino determinati eventi sul fronte della politica monetaria statunitense. In particolare, fattori chiave sarebbero sviluppi legati ai dazi doganali, all’aumento del deficit pubblico negli Stati Uniti o a cambiamenti nella linea della Fed.

Il dollaro, attualmente considerato “ipervenduto” e “sottovalutato”, non è riuscito a recuperare terreno neppure in presenza di tensioni geopolitiche recenti, come il conflitto tra Israele e Iran e il conseguente rialzo del prezzo del petrolio. Gli esperti sottolineano che il sostegno al biglietto verde è stato minimo e temporaneo.

Cambiamento di tendenza nei mercati valutari

Secondo gli analisti, la dinamica attuale riflette un cambiamento nella percezione degli operatori sui principali attori della politica monetaria. Da un lato, si registra un orientamento più “flessibile” all’interno della Federal Reserve; dall’altro, il Banco Centrale Europeo sembra assumere una postura più restrittiva (hawkish). Questo ha contribuito a ridurre la cosiddetta risk premium tra euro e dollaro, che attualmente si attesta intorno al 2,5%, dimezzata rispetto a due settimane fa quando il cambio era vicino a 1,160 dollari.

Gli strateghi di ING segnalano che una sopravvalutazione del 3% del dollaro sarebbe normalmente considerata eccessiva, ma che si osservano da mesi livelli superiori, fino al 5%, in particolare dopo l’annuncio del 2 aprile da parte di Trump sui nuovi dazi “reciproci” contro altri Paesi.

Verso quota 1,20?

Se i mercati dovessero rivalutare in modo più realistico il premio di rischio sul dollaro — riportandolo ai livelli precedenti — è probabile che il cambio euro-dollaro possa avvicinarsi rapidamente a quota 1,20, con implicazioni significative sia per le esportazioni europee che per la competitività internazionale degli Stati Uniti.